Presentazione

di Gianni Perona
(direttore scientifico INSMLI dal 2003 al 2011)

L’ultima lettera di un condannato a morte, specialmente nei contesti di persecuzione a carattere politico o religioso, ha assunto ripetutamente nella storia europea un carattere di documento insieme privato e pubblico, di rivendicazione d’innocenza e di testimonianza, capace di trasmettere ai posteri un’immagine onorevole per la famiglia ed esemplare per i compagni di fede. Il raccogliere tali lettere approdò spesso – ad esempio presso i protestanti nelle guerre di religione – alla costituzione di un vero e proprio martirologio, e certamente a questo obiettivo mirarono anche quei militanti dei movimenti di resistenza che un po’ dappertutto nell’Europa appena liberata, talora a guerra non ancora finita, ricercarono gli estremi messaggi dei loro compagni, e li riunirono e pubblicarono. Tuttavia nella Resistenza italiana questo tipo di documento è relativamente poco frequente, e per comprendere le ragioni della sua rarità bisogna considerare le condizioni in cui esso può essere prodotto.

In prima istanza la sua stesura suppone delle condizioni almeno temporanee di legalità, in cui a un detenuto sia annunciata, con pur limitato preavviso, l’imminente fine. Inoltre, debbono essergli concessi gli strumenti e il tempo per la scrittura e deve essergli data la garanzia della trasmissione del messaggio. Queste condizioni in realtà non si verificarono quasi mai in occasione delle esecuzioni individuali o collettive durante il movimento di liberazione (mai, in particolare, nelle esecuzioni per rappresaglia) e neppure nelle deportazioni che coinvolsero decine di migliaia di prigionieri in una prospettiva di morte probabile e vicina, sicché spesso di eventi molto importanti e tragici ci è stata trasmesso solo qualche frammento: un biglietto gettato dal vagone di un trasporto tedesco, un messaggio inciso in un libro, a volte solo un nome e un cognome che, segnando le spoglie, permettessero l’identificazione futura alla pietà dei familiari. Non sempre testi, che pure sussistono e sono raccolti in questo archivio, ma spesso semplici indizi, e tuttavia eccezionali anche questi, a considerare soltanto, ad esempio, quanto poco ci rimanga dei caduti in deportazione.

Se dunque la raccolta che qui si presenta è certamente lacunosa, e potrà essere accresciuta di qualche decina o centinaio di messaggi, essa ha tuttavia dimensioni che le ricerche ulteriori non potranno sostanzialmente modificare in rapporto al numero dei morti. Anche supponendo che il numero raddoppiasse, ne risulterebbe infatti che dei circa cinquantamila caduti della Resistenza, in parte considerevole uccisi senza processo dopo la cattura, solo pochissimi (meno di un migliaio, dunque nell’esigua proporzione di uno o due su cento) ottennero di redigere quella forma nobile di testimonianza che avrebbe elevato lo squallore di una morte infamante alla dignità di martirio. La ricerca pionieristica di Giovanni Pirelli e di Piero Malvezzi (il cui archivio si trova presso l’Istituto nazionale per la storia del Movimento di liberazione in Italia) e la nuova indagine condotta da Mimmo Franzinelli (le cui carte sono state depositate anch’esse presso il medesimo Istituto) hanno prodotto quella che è tuttora la parte più importante delle lettere qui pubblicate in facsimile e in trascrizione. I ricercatori di un gruppo di ricerca coordinato da Franzinelli fra il 2004 e il 2006 hanno poi integrato, con l’aiuto generoso di molti Istituti storici della Resistenza, quelle due raccolte, e l’insieme forma la solida base del corpo documentario che qui si presenta.

Pochi altri tratti importanti devono essere sottolineati. Il primo è che gli autografi a nostra disposizione sono rari: o sono rimasti presso le famiglie, o dobbiamo la conservazione dei testi solo alla registrazione o copia pietosa di un assistente spirituale. Il che ci dice da un lato quanto sia precaria la certezza dei riferimenti testuali, quando fin dall’inizio si può supporre un intervento esterno, mirante ad accrescere il valore consolatorio ed esemplare del messaggio, e ad espungerne le eventuali espressioni d’ira e di rancore. Dall’altro canto appare evidente quanta ricerca sia necessaria per recuperare i manoscritti originali.
Il secondo aspetto che si può cogliere è la distribuzione geografica ineguale delle lettere: preponderante risulta l’area di nord-ovest, dove certo la Resistenza durò a lungo e subì gravi perdite. Ma solo una particolare ferocia repressiva, negatrice anche di concessioni minime ai morituri, può spiegare la quasi totale assenza di lettere scritte dall’area veneta. Diverso problema sembra essere invece quello dell’area meridionale. Qui si può pensare che la difficoltà delle comunicazioni abbia pesato durante la guerra sul destino dei messaggi che possono essere stati inviati da qualcuno fra le migliaia di caduti originari del Sud e delle Isole, e che una rinnovata campagna di ricerche riporti alla luce una documentazione troppo dispersa per poter essere reperita in tempi brevi. L’edizione completa delle lettere sarà dunque un lavoro lungo, un traguardo ideale al quale ci si può solo avvicinare incrementando via via di qualche scheda il nostro archivio virtuale, ma già ora questa raccolta viene ad aggiungere una notevole ricchezza d’informazioni ad altre fonti documentali trattate informaticamente e disponibili on line, che permettono ormai l’applicazione di metodi sociologici e antropologici allo studio della Resistenza.

L’aumento dei documenti non può tuttavia essere considerato solo dal punto di vista quantitativo, e nuove riflessioni sono suggerite da una tipologia di documenti che tende a divenire sempre meno uniforme. In generale, sono qui pubblicate “di diritto” quelle lettere che sono state scritte in previsione di una morte creduta imminente e certa, e quasi sempre poi realmente sopravvenuta, inclusi pochissimi casi di graziati all’ultimo momento. Ma la constatata affinità, per non dire identità, di queste scritture rispetto a testi redatti a futura memoria (testamenti spirituali, lettere ai familiari redatte in condizioni di pericolo) e divenuti “ultime lettere” perché la morte effettivamente accaduta dell’autore ha spesso conferito loro retroattivamente un diverso potere emotivo e un’importanza storica degna di attenzione, induce ad accogliere nella banca dati anche un vasto campione di questo genere di documenti. I quali consentono anche un migliore apprezzamento dell’insieme delle lettere, perché lo studio dell’espressione scritta di persone di condizione sociale e culturale quasi sempre modesta non può non confrontarsi con i modelli forniti dalla più sapiente tecnica espressiva presente in testi contemporanei colti. Questi, redatti con relativo agio da persone di scolarizzazione medio-alta e quindi culturalmente predisposte a gestire in proprio un discorso sulla guerra e sul significato della partecipazione ad essa, o comunque portatrici di culture politiche capaci di fornire solide strutture concettuali anche a una comunicazione prodotta in condizioni estreme, forniscono infatti una vasta gamma di espressioni e di concetti topici ed esemplari, che poi si ritrovano meno elaborati sotto la penna di autori più ingenui. È un’intera area di pratiche discorsive e letterarie quella che adesso si può meglio esplorare attraverso l’esame dei testi nel loro insieme. All’interno di questa, la presenza rara di scritture di donne rappresenta solo l’inizio di un’esplorazione che dovrà essere condotta più ampiamente, se solo si pensa al ruolo di personale culturale femminile (le maestre di scuola in primo luogo, ma anche le corrispondenti dei prigionieri) nel divulgare un’immagine esemplare dei caduti in guerra.

29 settembre 2008